Vi riproponiamo la seconda parte dell'intervista a Gaetano Castrovilli a cura di Sportweek: “Se qualcuno mi ha mai invitato a smettere? Per come sono fatti non lo hanno mai detto e mai lo avrebbero fatto. Sono persone orgogliose e pur di far stare tranquillo un figlio e permettergli di raggiungere i suoi obiettivi sono disposti a rompersi la schiena. Piuttosto fui io che a 12 anni volevo smettere perché mi faceva male vedere quanta fatica fa ci sono i miei in tutti sensi per consentirmi di giocare a calcio. Fu proprio mio zio a convincermi a non mollare. Cosa mi basta per essere felice? Un piccolo gesto, un pensiero. Anche perché sono uno che preferisce dare piuttosto che ricevere. A mia madre e a mio padre non ho mai detto “vi voglio bene“, ma glielo dimostro. Come? Sfottendoli. Ogni volta che li prendo in giro capiscono quanto affetto provi per loro. Esprimo i miei sentimenti sempre in una maniera concreta. A luglio di un anno fa papà era ricoverato in ospedale. Il giorno prima che uscisse gli presi un cane, un bulldog. Per fargli una sorpresa gli dissi che non sarei potuto passare a salutarlo perché dovevo rientrare a Cremona. Si incazzò veramente: “Ma come, io torno a casa e tu non ti fai trovare?“. Fatto sta che la mattina dopo aprì la porta e mi trovò ad aspettarlo con il cane in braccio. La danza? Mio padre per un periodo ha fatto il dj mi ha trasmesso la passione per la musica. Mettevo su la musica e ballavo scalzo sul tappetino oppure lo facevo con una bambina che abitava di fronte. Fu per questo che a sette anni mi iscrissi a danza classica, durò un anno e mezzo e lasci perché ero l’unico maschietto. Le parole di Antognoni? Mi sono scivolate addosso. Antognoni e Firenze, la ringrazio però finisce qui”.
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