Duecento chilogrammi di principio attivo di idrossiclorochina sono in viaggio dall’Asia verso Firenze. Serviranno per realizzare alcune centinaia di migliaia di capsule del farmaco che viene ora testato, in modo sperimentale, come «anticoronavirus»: inibisce gli effetti più pesanti sui polmoni e consente di superare i momenti critici della malattia. Il direttore dell’Istituto farmaceutico militare di via Reginaldo Giuliani, il colonnello Antonio Medica, non dice da dove arriverà il materiale: non è un segreto militare, ma poco ci manca. Troppa la ricerca di mercato del prodotto. E loro pensano già a ordinarne altri chili. Il ministro della Salute Roberto Speranza ha incaricato la storica struttura fiorentina, qui dal 1931, di produrre il farmaco dal principio attivo, con un decreto voluto dal premier Conte lo scorso 7 aprile. «Abbiamo già un ordine dalla Regione Toscana, capsule da 200 Mg» dice Medica mentre mostra i laboratori dove verranno certificati sia il principio attivo che il prodotto finito. Ma il ministro della Difesa Lorenzo Guerini aveva già messo l’Istituto sul «fronte» del coronavirus. Come già successo in passato quando produsse i farmaci anti Sars nel 2006 e quelli anti aviaria nel 2009. Il primo step anticoronavirus è stato la produzione di gel disinfettante: il personale (sono in 85 tra militari e civili, alcuni interinali, tra cui due ragazze che sperano di essere assunte col prossimo concorso, spronate dai militari presenti) sta preparando flaconi, dispenser. E pure kit per la distribuzione: «Siamo passati da 800 litri al giorno a 2.700» dice il colonnello. Un paracadutista-farmacista imbusta, un alpinista sposta taniche di prodotto da smistare col carrello. Anche Medica è un alpino, entrato trenta anni fa qui al Farmaceutico. Mentre passa dai laboratori, alcuni da «bio hazard» con personale in tuta, prende un pacco: «Questi sono gli autoiniettanti contro il gas nervino, per militari in guerra. Ci occupiamo anche di questo». Ora c’è l’ennesima sfida: «Entro aprile, incominceremo a mettere a punto il procedimento per la produzione». Perché, pur in questa situazione di emergenza, «le aziende non concedono i segreti industriali per realizzare le capsule». Ma loro sanno già come fare. E non è la prima volta. Si sono messi a produrre mezzo milione di pasticche di ioduro di potassio dopo l’esplosione di Chernobyl. Sono stati i produttori scelti per il coltivare e produrre farmici cannabis cannabinoidi. E ci sono 3 mila persone la cui vita dipende Farmaceutico militare. Sono i malati di patologie rare per i quali l’Istituto produce farmaci «orfani», non redditivi per i privati e ormai fuori dal commercio. Mentre giriamo per i laboratori, il maresciallo (e infermiere) Camillo Borzacchiello risponde a mail e telefonate di malati o parenti preoccupati per l’arrivo dei farmaci rari da loro prodotti. Lui rassicura, conferma l’arrivo: «Qui non abbiamo mai smesso di produrli». E non smetteranno di produrre anche quelli contro il coronavirus, «fino a che ce ne sarà bisogno» giura Medica.
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