Non la chiama «svolta», preferisce usare l’espressione «salto di qualità». Da realizzare anche a costo di «prendere decisioni impopolari». Vincenzo Spadafora, neoministro dello Sport, prende di petto la questione razzismo-buu-stadi, dopo le dure dichiarazioni con cui il presidente della Fifa Gianni Infantino ha messo all’indice la situazione del calcio italiano su questo fronte, definendola «non più accettabile». D’altronde l’inizio del campionato è stato un indietro tutta rispetto ai soliti buoni propositi, regolarmente smentiti dal campo, anzi dagli spalti. Le parole di Roberto Mancini e di Antonio Conte avevano preceduto quelle pronunciate dal numero uno del calcio mondiale: siamo maledettamente indietro nella lotta al razzismo da stadio. Oggi Ministro-Figc Da Lukaku a Kessie, fino a Dalbert, la storia non cambia: lo squallore dei «buuu», l’impotenza, il supplemento di indagine disposto dal giudice sportivo alla ricerca di un sentiero giuridico che per ora non c’è. E allora? E allora si parte dal confronto con Gabriele Gravina, in calendario questa mattina negli uffici di Spadafora, che vedrà anche il presidente della Lega A Gaetano Miccichè. Un colloquio già fissato, nell’ambito delle «consultazioni» del neoministro dello Sport. Ma è chiaro che la lotta al razzismo s’è impossessata del primo punto all'ordine del giorno. L’obiettivo è chiaro: costruire insieme una linea nuova in cui, parole del Ministro a «El Pais», ognuno si assuma le proprie responsabilità: istituzioni, politica, federazione, società, tifosi, «perché è arrivato il momento». Basta «percezione» Gravina, che ha già inserito nel codice una procedura di sospensione delle partite per razzismo più snella, spiegherà a Spadafora il nuovo approccio alla questione razzismo. Basta con la famosa disquisizione sulla «percezione», come se l’odioso fenomeno si potesse misurare un tanto al chilo. Nel Consiglio federale del primo ottobre si discuterà una proposta che prevede una doppia corsia: da una parte la cancellazione della responsabilità oggettiva per quelle società che collaborano fattivamente con le forze dell’ordine per individuare i responsabili, un po’ il modello Juve emerso dall’inchiesta giudiziaria di Torino; dall’altra il pugno duro con chiunque sottovaluti o scelga un modo ambiguo di affrontare il problema. Società, tocca a voi Una linea di confine sicuramente difficile da stabilire, ma l’obiettivo è chiaro: evitare che le società restino oggetto dei violenti - «se non ci date biglietti vi facciamo i cori», una delle frasi più ricorrenti nelle intercettazioni di Torino –, dall’altra trovare il modo per punire ogni atteggiamento di sottovalutazione, farla finita con la logica autoassolutoria «dei quattro gatti di fronte alla stragrande maggioranza dei tifosi», un ritornello che finora non ha aiutato la comprensione e la lotta al fenomeno. Le società, questo dirà la nuova norma, dovranno adottare un Codice etico e un sistema procedurale finalizzato a prevenire la commissione di comportamenti contrari ai principi di lealtà e correttezza, e dotarsi di un sistema disciplinare interno. Che colpisca quell’abbonato o quel tifoso che si rende responsabile di cori razzisti o comportamenti violenti con sanzioni proporzionate alla gravità dell’atto. Premesso che le società possono molto, ma non tutto. Il Viminale cambia? Ecco perché non si può esaurire tutta la discussione al solo fronte sportivo. Immaginare l’ennesimo aggiornamento delle norme anti-violenza, magari con un ulteriore inasprimento dei Daspo, sembra improbabile (le ultime disposizioni di legge sono recentissime, contenute nel decreto sicurezza bis del Conte 1). Piuttosto i responsabili dell’ordine pubblico, a cui spetta l’ultima parola per la sospensione della partita, potrebbero cambiare atteggiamento rispetto alle indicazioni dell’era Salvini, visto che l’ex ministro degli Interni si era sempre dichiarato scettico sull’ipotesi della chiusura di curve e stadi, peraltro indicata dall’Uefa. Ma è ancora presto per verificare se al Viminale si andrà a un cambio di rotta. C’è infine un aspetto che riguarda la depenalizzazione dell’ingiuria razzista nel nostro codice. Che punisce la «propaganda» di idee razziste ma non l’insulto, perseguibile soltanto in campo civile con richieste di risarcimento. Un tema che naturalmente non riguarda solo lo sport e il calcio. Una considerazione che però non può più funzionare da alibi. Bisogna fare di più. E presto. Lo riporta la Gazzetta dello Sport.

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