Non ha vinto una nazione ieri, ma undici calciatori. È una tecnica vecchia quella di dare a tutti un nemico comune. Bella forma di distrazione e manipolazione. Prima, però, dovremmo ricordarci, anche, di quando gli italiani fischiarono l’inno francese. Oppure di queste parole che Bearzot disse: “A causa dell’ingresso di grandi sponsor sulla scena del calcio, sembra che il denaro abbia spostato i pali delle porte. Allo stadio non vado da molto: la tribuna d’onore è ormai una vetrina di urlatori. Ho sentito insulti ferocissimi. Alla fine di Italia ’90 hanno fischiato l’inno argentino e mi sono vergognato. Durante la partita fischiate pure, ma l’inno nazionale è sacro. In Italia abbiamo una cultura errata dello sport e del calcio in particolare”. Queste le parole del CT che portò la Nazionale Italiana a vincere nel 1982 la Coppa del Mondo. Vedere Mattarella a Wembley, ieri, è stata solo manipolazione delle masse. Cercare di innescare un simbolismo positivo: c’è chi lo ha paragonato a Sandro Pertini. Essendo l’Italia un paese vecchio (sotto ogni aspetto), verrà facile supporre che nelle menti vi sia un, pressocché, nitido ricordo della figura di quest’ultimo e dei sentimenti ad essa legati. In Italia abbiamo una concezione dell’estetica calcistica lacunosa. Credere che la vittoria dell’Europeo sia passata dal “bel gioco” indica una forte alienazione dal reale. Casomai si è sperato nell’errore altrui e capitalizzato, con qualche sprazzo dei singoli, gli errori indotti da se stessi verso se stessi degli avversari. Ma questo non è sicuramente “bel calcio”. Per la verità non è stata neanche la migliore finale che potesse esserci. Le qualità di gruppo di entrambe le compagini erano fragili e sottili. Molto meglio una finale tra Spagna e Danimarca. O, comunque, meglio, in generale, una finale con la Danimarca. Gruppo solido e compatto. Uscito per effetto di fattori non inerenti a demeriti propri. Tutto questo nasconde l’inclinazione italiana a dare poca importanza allo spettacolo in sé, pratica dell’estetica, e, invece, darla al risultato finale. Non importa il cammino, cioè non importa approfondire, importa poter manifestare, attraverso l’uso degli oggetti, simboli sensibili, materiali, la propria superiorità in quel momento. Superiorità non longeva, ma passeggera. E costruirci un passato superficiale e lacunoso, come lo stesso concetto di estetica. Perciò una falsa longevità con falsi ideali e cambiamenti storici. Se si avesse a che ridire, sarebbe da opinare dicendo: visto che contano i tifosi, allora perché i risultati hanno più valore dello spettacolo? Ieri non c’è stato spettacolo. Questo è certo. Inoltre, casomai l’Italia dovesse vincere il Mondiale prossimo, e agli italiani piace la veggenza e la cartomanzia, bisognerebbe anticipare questo: quando qualcosa è costruito la qualità si abbassa, perché nulla arriva da innate predisposizioni caratteriali e fisiche. Per farla breve: il calcio di oggi è scarso.
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